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Protesi oculari: la differenza tra enucleazione ed eviscerazione approfondimenti

La perdita di una componente corporea rappresenta sempre un trauma di non poco conto per il soggetto interessato, colpito doppiamente sia dal punto di vista che soprattutto da quello psicologico dovendo non solo affrontare la convivenza con la nuova situazione quanto – nella maggioranza dei casi – adattarsi ad alcune limitazioni o modifiche rispetto il proprio stile di vita ed abitudini che diventano maggiormente marcate nel caso di problemi visivi e protesi oculari.

Partendo dal concetto di cosa rappresenti una protesi visiva, ovvero un supporto medico-chirurgico realizzato con materiale biocompatibile per colmare più il deficit di volume derivato dall’operazione di svuotamento e/o estrazione del bulbo oculare che per la compensazione della funzionalità, uno dei discorsi più importanti per poter comprenderne l’utilizzo, l’appropriatezza d’uso e l’impatto che queste possono generare sul paziente affetto è rappresentato dal tipo di operazione condotta in virtù della patologia visiva evidenziata dai test clinici tra i casi di enucleazione ed eviscerazione.

Nel primo caso trattasi di una totale rimozione della struttura visiva, con la recisione anche del nervo ottico al fine di poter pulire al meglio la cavità oftalmica propedeuticamente all’inserzione di protesi oculari, mentre nel secondo caso trattasi di un vero e proprio processo conservativo della maggior parte della struttura tramite un fenomeno di pulizia del bulbo oculare dopo aver chiaramente sollevato il tessuto corneo e realizzato una base per l’inserimento e l’adozione di un endoprotesi (diversa da una protesi completa).

La scelta di quali tipologie di protesi oculari adottare si basa proprio sul tipo di operazione, tra enucleazione ed eviscerazione, alla quale ci si sottopone e quest’ultima è sempre vincolata allo stato clinico del paziente ed alla sindrome invalidante generalmente suddivise con un equo 50% tra patologie oculari quali quelle oncologiche (nella maggioranza dei casi) oppure traumi indotti (con incidenti di varia natura da valutare caso per caso). In ciascuno dei casi l’obiettivo resta la minimizzazione dell’impatto psicologico derivato dalla nuova condizione, cercando di creare un artificio esterno tale da rendere almeno alla vista quasi impossibile la percezione della mancanza del bulbo oculare attraverso proprio le protesi oculari i cui materiali – per tali motivi – hanno subito notevoli evoluzioni nel corso del tempo.

Da un principio di sviluppo in vetro, originariamente scelto per la rifrattività luminosa particolarmente similare proprio alla struttura oculare, si è poi passati all’uso di materiali differenti al fine di limitare il processo di deterioramento derivato da naturali processi non intaccati dalle operazioni come la lacrimazione e l’umidificazione tramite il movimento delle palpebre. Attualmente le migliori protesi oculari sono realizzate in resina acrilica garantendo una maggiore durata oltre che resistenza nel tempo, il tutto con una qualità complementare alle necessità del paziente specialmente in materia di igiene e tenuta, aspetti da non sottovalutare nell’arco di un utilizzo sicuramente a lungo termine con effetti avversi decisamente spiacevoli.

Tali considerazioni rendono spesso non semplice l’uso ed il ricorso a tali protesi, ciononostante la conoscenza seppur generica dei principali fenomeni operatori e delle tipologie di materiali utilizzati per la loro costruzione può essere importante per fornire un primario orientamento.

Approfondimento: http://ocularistica.com
Comunicato di Avatar di marketingseomarketingseo | Pubblicato Domenica, 30-Ott-2016 | Categoria: Benessere
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