Il registro elettronico e i docenti italiani
Da oltre due anni (almeno) si fa un gran parlare, in fatto di istruzione e informatizzazione del sistema, del registro elettronico, uno strumento che già dal 2012 avrebbe dovuto rivoluzionare il vecchio modo di concepire l’organizzazione amministrativa scolastica. La legge che sanciva l’obbligatorietà del passaggio dal cartaceo al digitale è stata emanata già in quell’anno, salvo poi perdere di validità alla luce dell’impossibilità strutturale di molti istituti di eseguire il passaggio. Che il registro elettronico sia un’innovazione positiva e, per molti versi, necessaria, appare chiaro ormai a tutti, ai fini della semplificazione delle procedure, della trasparenza, del risparmio economico e procedurale.
Anche per i docenti la digitalizzazione comporta notevoli vantaggi, ai quali però si contrappongono criticità impossibili da trascurare e che vanno gestite in maniera accurata per evitare che il cambiamento si riveli un flop. Gli insegnanti ad oggi devono gestire due tipi di registro, quello di classe e quello personale. Solitamente i docenti sono titolari di più cattedre in diverse materie e classi, e per ogni materia di ogni sezione esiste uno specifico Giornale del Professore; l’ovvia conseguenza è che ogni professore deve gestire più registri cartacei, in assenza di uno strumento capace di unificarne la gestione. Si tratta inoltre di un canale diretto attraverso cui gli insegnanti possono finalmente dialogare con immediatezza con le famiglie e gli studenti ottimizzando tempi e mezzi, in favore della trasparenza e di una più corretta gestione dei flussi informativi. L’informatizzazione del registro consente di disporre di un’unica interfaccia attraverso la quale organizzare con tempestività ed efficienza il lavoro, eliminando la necessità di gestire più mezzi e con metodi desueti. Di contro, è necessario ricordare che il corpo docenti italiano è, stando ai dati Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), il più anziano del mondo; l’età media supera i 50 anni e meno del 3% della docenza è costituita da personale under 30. Ciò, come si può immaginare, è un dato che non può non destare per lo meno qualche perplessità in relazione alla dematerializzazione amministrativa della scuola. Occorre preparare in maniera adeguata gli insegnanti, organizzare corsi di formazione e assicurarsi che il cambiamento sia stato metabolizzato in maniera adeguata. Senza considerare il dispendio economico espresso dalle necessarie apparecchiature tecniche e dalla stessa formazione, l’assenza di una legislazione chiara e di un piano operativo e le carenze strutturali dell’intero sistema scolastico italiano.
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